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Si allunga su uno stretto crinale che guarda il mare, nei caldi colli coltivati che degradano verso il litorale, tra la foce del Tronto a sud e quella del Tesino a Nord. Il toponimo è legato ad alcune leggende, alcuni sostengono che sotto la fortezza si trovasse una fonte miracolosa altri che derivi dalla famiglia Acquaviva quella dei futuri duchi d'Atri, proprietari del castello, ma più verosimilmente il nome, di uso piuttosto comune, stava a rappresentare la presenza di sorgenti perenni. Acquaviva inizia il suo percorso nella storia prima del X secolo quando, stando alle carte del vescovato Fermo, viene concesso nel 1034 in feudo a Longino di Azzone, quello della famosa donazione farfense, insieme alle corti di San Vincenzo e San Benedetto. Sempre in quell'anno Longino scambiava con il porporato fermano, il castello di Stablo con quello di Monticelli, confinanti con i territori di Acquaviva, da qui in poi non si trovano più riferimenti scritti del paese fino al 1255. Qui riappare come feudo dei signori di Acquaviva, quelli che diventeranno in futuro i potenti Duchi d'Atri, che tra queste colline avevano mosso i primi passi nella storia, secondo alcuni potrebbero essere addirittura dei diretti discendenti di Longino di Azzone. Alla fine del XIII secolo i vari rami della potente famiglia possedevano le loro quote del castello, sorse quindi una disputa per riunire la proprietà sotto un unico ramo, dopo diverse diatribe prevalse nel 1298 Cecco d'Acquaviva, ma questo non portò alla fine della guerra famigliare. Un suo parente di nome Corrado, arrancò pretese sul feudo assediando il paese ed il vicino castello scomparso di Mercato nel 1317, anche il Re di Napoli e Vicario Pontificio: Robertò d'Angiò cercò di fermare la guerra con scarso successo dato che tre anni dopo ancora perdurava. Intanto le schiere di entrambi si erano allargate coinvolgendo anche i feudi dell'abruzzo, fedeli ai rami del casato e quindi il Re cercò di obbligare Cecco, più debole dei due, di vendere il castello al riottoso parente. Nel 1325 risulta infatti proprietà di Corrado ma si vede anche la presenza del ramo dei Conti di San Valentino fino al 1407 quando passa sotto il governo fermano, ansioso di contrastare il confinante comitato Ascolano. Poco chiare sono le modalità dell'acquisizione ma si sospetta che sia stato il Migliorati, signore di Fermo che coincide con l'assassinio di Andrea Matteo I di Acquaviva duca d'Atri avvenuto a Teramo da parte della famiglia dei Melatini in lotta per la signoria sulla cittadina abruzzese. Ma gli acquavivani insofferenti dei nuovi padroni, si ribellarono nel 1342, cacciando i fermani e sottomettendosi a Giosia Acquaviva che in quegli anni aveva deciso di espandersi nei suoi antichi domini nella Marca.
Ma con l'arrivo di Francesco Sforza in lotta con gli Acquaviva, assale il paese e lo conquista nel 1438 tenendolo fino alla sua cacciata nel 1446 passando sotto il diretto controllo della Santa Sede. Torna in mani fermane l'anno successivo quando penetrando di nascosto nel castello, lo conquistavano; il papato pur di deleggittimare ogni possibile pretesa degli Acquaviva, conferma il castello a Fermo che realizza così il suo piano di rafforzamento dei confini meridionali. Vista l'importanza strategica che ora possedeva Acquaviva viene ristrutturata la rocca, aggiornandola per meglio resistere alle armi da fuoco, in più espande l'abitato sul colle verso mare e destina il piccolo avvallamento tra i due rilievi a centro cittadino. Il nuovo quartiere sarà chiamato Terra Nuova, cinto da mura e sorvegliato da un nuovo grande torrione, chiamato Fortezza Minore, nel sottostante avvallamento verrà eretto il nuovo palazzo comunale e la chiesa di San Nicolò mentre due nuove porte permettevano l'accesso direttamente alla piazza. Nel 1503 va ricordata una ribellione della popolazione contro il governo fermano che portò all'assalto delle fortificazioni cittadine.
In pieno periodo Napoleonico, nel 1799, Acquaviva aveva dimostrato grandi simpatie per l'imperatore francese e quindi venne assaltata dalle truppe sanfediste del brigante Sciabolone, fedele sostenitore della restaurazione pontificia, mettendo a ferro e fuoco il paese, incendiando l'archivio comunale, cancellando numerose tracce della storia cittadina. Delle cruente giornate rimane, sulla chiesa di San Niccolò, la traccia di un colpo sparato da Sciabolone, lasciato a ricordo dell'evento.
Successivamente ritorna a Fermo per rimanervi fino all'Unità d'Italia, quando sarà incorporata alla provincia di Ascoli Piceno, cambiando nome da Acquaviva di Fermo in Picena.
L'abitato si divide in due nuclei principali: Terra vecchia, sovrastata dalla fortezza, e Terra Nuova, dalla parte opposta, sul colle controllato dalla Fortezza Minore; i due nuclei si congiungono nel punto più basso del paese. Nel primo si trova la già citata rocca, che sorge sull'omonima piazza. Da qui si scende per il breve corso che porta all'antica chiesa di San Rocco, e si incontrano un susseguirsi di epoche e stili, a partire dal palazzo comunale, si alterna tra lo stile rinascimentale e quello barocco.
Attraversando il Ponte di Via Marziale si inizia a scendere per la parte bassa del corso, sempre circondato da nobili edifici come Palazzo Sciarra, e poco distante troviamo la Torre dell'orologio e Piazza San Nicolò. La facciata della parrocchiale, che dà il nome alla piazza, fronteggia la scenografica Porta da Bora, e, sul lato opposto, la Porta di Piazza, sormontata dalla terrazza panoramica e da un loggiato.
Si continua il giro in direzione di Terra Nuova; risalendo si incontra la piccola chiesa di San Giuseppe. Arrivati in cima c'è la piazza dell'ex ospedale, davanti a Porta Nuova, e poco distante l'incasato termina con la tozza sagoma della Fortezza Minore.

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